A world of pure imagination
Ogni tanto, per mille motivi, la realtà è dura da mandar giù. In momenti simili, fantasia, immaginazione e creatività ci salveranno. O, per lo meno, salvano me. Senza paura.
Una delle cose che adoro del piccolo studio dove lavoro (una stanza di casa mia adibita a ufficio) è che mi assomiglia. Poco tempo fa, mostrando quello studio a un amico, la prima cosa che ha detto è “ti assomiglia da matti”. Ho sorriso perché, in quell’affermazione, ci ho sentito la verità. E la verità suona sempre bene.
Alla fine del 2024, ho passato un po’ di tempo nelle West Midlands, in Inghilterra. Ero già stata da quelle parti ma non avevo dedicato molto tempo a quel pezzo di Gran Bretagna che viene, spesso e volentieri, chiamato The Heart of England. Io e la Gran Bretagna ci amiamo da anni e, quando sono là, sono decisamente avvolta da ogni forma d’amore.
Durante uno di quei giorni nelle West Midlands, sono andata a Bournville, conscia di due immagini e pensieri: il primo riguarda il libro di Johnathan Coe che si intitola proprio Bournville e che racconta la storia di quel luogo attraverso delle vicende umane che scorrono sulla linea temporale della storia stessa dell’Inghilterra. Il secondo pensiero mi diceva già quanto Bournville potesse essere simile - ma perfettamente inglese - alla mia città natale: Valdagno, in provincia di Vicenza.
Bournville è nata dalla mente della famiglia Cadbury, storici produttori di cioccolata di Birmingham. Un piccolo paesino nato e cresciuto attorno alla fabbrica. Nato e cresciuto per la gente che lavorava e lavora in quella fabbrica. Bournville sta alla famiglia Cadbury come Valdagno sta alla famiglia Marzotto. Uguale.
Una volta arrivata là, ho passeggiato fino a raggiungere l’immensa fabbrica vittoriana che, ancora oggi, produce quella che è la mia cioccolata preferita. Un edificio immenso, vittoriano, squadrato come pochi, in mattoni rossi resi scuri dal tempo e dall’aria delle Midlands. Al cospetto di quel coso mastodontico, mi sono sentita piccola come una bimba. Ed è qui che volevo arrivare.
Ero una bimba, come lo era Roald Dahl, portato lì durante una vacanza estiva per bimbi gallesi. Messo davanti alla fabbrica, la osservava come la guardavo io. La ascoltava, di certo, più di me: al tempo, ci saranno state le finestre aperte e avrà percepito i rumori della catena di montaggio e di ogni minimo ingranaggio presente in quegli ambienti di lavoro. Ooompa-Looompa, Ooompa-Looompa… onomatopee che diventano personaggi solo perché un bimbo di sette anni ha sentito un suono e, una volta diventato adulto, l’ha tradotto in ciò che sapeva fare meglio: scrivere. E rendere la vita migliore a tutti, aggiungo io.
Davanti a quel colosso vittoriano, io mi sono commossa pensando a quel world of pure imagination inventato da Roald Dahl, diventato libro e tramutato in un film iconico che nessun bimbo cresciuto negli Anni ‘80 mai dimenticherà.
Quel giorno - benché non ce ne fosse il bisogno - ho capito nuovamente quanto sia preziosa quella parte di me che custodisco come la più grande gemma mai trovata nell’universo: la mia immaginazione. La mia capacità di astrarre, volare con la mente e tornare a terra prendendo forza da ciò che immagino.
Sono diventata grande, lo so, ma questo non implica il fatto che io perda per strada la mia capacità di immaginare. Immaginando e fantasticando si crea. E io adoro creare. La cosa importante è prendere le proprie fantasie e tradurle in qualcosa che ci dia forza nella nostra realtà. La fantasia è forza propulsatrice. Astrarre è energia; non dev’essere mai elemento di frustrazione.
Vivo ancorata alla realtà tutto il giorno: sono attiva, pragmatica, organizzata, una sorta di macchina da guerra con gli occhiali rosa, i tatuaggi e i capelli boccolosi. Ma sono una macchina da guerra.
Lasciando un piede attaccato a terra, spesso e volentieri, per mia pura scelta mi lascio andare e immagino. In un mondo in cui tutta la realtà è fin troppo cattiva e arriva perfino a essere distopica (ma resta reale), immaginare, creare e fantasticare sono ciò che salverà il mondo. Per lo meno, salverà gli esseri umani che vogliono essere salvati.
Immaginarci di fare qualcosa, incontrare qualcuno, vivere delle situazioni diverse dalla nostra quotidianità, pensarci streghe potenti o cavalieri raminghi dispersi in chissà che bosco non ci fa del male. Ci salva.
La linea di demarcazione sta nell’accorgersi dove si debba mettere il punto al racconto di fantasia dentro di noi e dove riprendere in mano la penna che non si cancella, ovvero quella della vita reale. Spesso, lo sappiamo tutti fin troppo bene, quei due mondi riescono a toccarsi, fondersi (o confondersi, a seconda dei casi) e avvinghiarsi nel più fisico e forte degli abbracci. Fantasia e realtà respirano all’unisono e lì accade la vera magia.
Quando qualcuno vi dirà che sognare e fantasticare (qualsiasi cosa sia lecita per voi) da adulti sia qualcosa che non si fa, voi zittitelo dicendo “taci, sto mi sto salvando e, facendo questo, salvo il mondo”.
Se qualcuno vi dirà che teme il fatto di essere nella vostra fantasia, voi rispondete come ben scrisse Ferdinando Pessoa, nel 1982, pubblicato Il Libro dell’Inquietudine.
E se fossimo tutti sogni che qualcuno sogna,
pensieri che qualcuno pensa?
Non c’è nulla di più bello di una sana follia.
Non c’è nulla di più bello di una fantasia. Parola mia.